Intervista a Stefano Santarsiere, autore de "La mappa della città morta" - Newton Compton Editori
La mappa della città morta è la storia di una doppia, forse tripla caccia all’uomo, sullo sfondo di più scenari esotici e con il tema classico della civiltà scomparsa. Come nasce una storia così?
Forse dalla voglia di intraprendere il mio personale viaggio nell’Ade, e tornarne vivo. Ciò che i greci chiamavano ‘catàbasi’, che è poi un motivo topico della letteratura. Oppure, più probabilmente, nasce dalla voglia di esplorare il confine tra la sete di conoscenza e l’avidità, e come funziona il conflitto tra queste due dimensioni. A un livello ancora più concreto, avevo in mente un esploratore che si perde nella giungla, misteriose e antichissime rovine, un enigma geologico e un giornalista specializzato in notizie insolite. Tre stesure dopo è nato il libro.
Ed è stato subito un successo del web. Pubblicato su Amazon, raggiunge in poche settimane le vette della classifica a pagamento. Poi arriva la proposta di Newton Compton… Da cosa dipende un esito tanto favorevole?
Ne sono rimasto sorpreso io per primo. Ma in fin dei conti credo che i romanzi di avventura abbiano un ascendente speciale sui lettori, perché incontrano il desiderio profondo di esotismo, avventura e in definitiva di evasione dal mondo reale che c’è in ognuno di noi, soprattutto in quest’epoca che offre oggettivamente ben poche ragioni per avere fiducia nel mondo reale.
In pratica, questo genere di libri asseconda la speranza che le cose, nonostante le mille disavventure che possono accadere, alla fine si sistemino per il meglio e che l’esperienza possa regalarci una scoperta del tutto inattesa, magari all’ultimo respiro, cambiando per sempre la nostra vita.
Parliamo dei protagonisti. Da un lato Charles Fort, il copywriter del mistero, dall’altro gli attivisti di una ong a tutela degli indigeni del Brasile. In mezzo, l’archeologo scomparso nella foresta amazzonica…
Charles Fort è un quarantenne che vive un momento di crisi. Ha perso una persona amata. Il suo progetto, il sito internet La voce dei dannati, è in crisi di audience. Quasi per miracolo riceve una richiesta dal vecchio padre dell’archeologo scomparso, il quale è convinto che il figlio sia ancora in vita e gli chiede di andare a cercarlo. Per Charles Fort è l’occasione di rilanciare la sua professione e la sua vita. Ma è davvero così? Avrà le risorse per affrontare un’impresa così piena di incognite?
In Brasile incontra gli attivisti di ‘Gens Makinwa’, amici dell’archeologo, e sono persone operose, appassionate, impegnate in un progetto concreto. Charles Fort si confronta con loro e inizia a cambiare prospettiva: la vita è qualcosa di più che un mondo virtuale fatto di reportage sul chupacabra o i dischi volanti. Eppure, man mano che l’avventura si fa sempre più complicata, e il giornalista viene trascinato nel gorgo dell’inferno verde fra inseguimenti, trappole e attacchi spietati, la prospettiva cambia ancora: forse in ballo c’è qualcosa che trascende di molto sia i miti posticci del suo sito internet sia il pragmatismo dei suoi amici.
Forse, in fondo alla foresta c’è davvero qualcosa di sconvolgente. E se anche l’archeologo è ancora in vita, la sua esistenza e quella dei suoi amici è realmente in pericolo.
Charles Fort è quindi un eroe per caso, un viaggiatore per obbligo e forse un giornalista pigro. Ma resiste, e al tempo stesso reagisce, come farebbe chiunque di noi quando è in gioco quello che abbiamo di più caro.
Parliamo dello stile. Scorrevole, ma non semplicistico. Come l’hai costruito?
Con la lettura di buoni libri, non necessariamente di avventura. Per questo romanzo in particolare mi sono ispirato alla scrittura del Bradbury dei racconti di Paese d’ottobre o del romanzo Il popolo dell’autunno, ma ovviamente ho lavorato per sottrazione, evitando i barocchismi del grande scrittore americano – che non sarei lontanamente in grado di imitare. Dal punto di vista simbolico ho lavorato pensando a molto cinema. Verso la fine, per esempio, c’è una citazione a 2001: odissea nello spazio.
Una domanda che un lettore si potrebbe porre è: l’autore ha visitato di persona i luoghi che descrive?
La risposta che darei in questo caso è no. Sono stato nella giungla ma non in Amazzonia. In Antartide non ho mai messo piede, men che meno nell’isola di Yonaguni nel mar del Giappone. Charles Fort vive a Bologna, che è la mia città, e ha parecchi tic o fragilità che riconosco in me.
In pratica ho lavorato un po’ come faceva Salgari, facendo molta ricerca. Con il libro che ho appena finito di scrivere, invece, le cose sono andate un po’ diversamente: è ambientato alle isole Fiji, dove sono stato.
Bene, allora puoi anticipare qualcosa del nuovo romanzo? Ha di nuovo Charles Fort come protagonista?
Sì, e come dicevo, stavolta porto il lettore agli antipodi. È una storia che ha protagonista il mare, con i suoi tesori e segreti. Si parlerà ancora di sfruttamento, avidità, ambizione sfrenata. Ma stavolta Charles Fort rischierà davvero grosso…
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