Articolo a cura di Stefano Di Marino/Stephen Gunn
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Chissà se mai Sylvette Cabrisseau, poliedrica autrice nera degli anni ’70 parigini (oltre che autrice di romanzi è stata anche attrice e cantante) immaginava che uno dei suoi romanzi mi avrebbe ispirato per un personaggio del Professionista? Non lo so e non credo... ma sicuramente Sylvette, la Pantera nera del Servizio –francese- pubblicata in vari episodi da Segretissimo mi lasciò una grande impressione. Nasceva, è vero, da quel filone che una decina d’anni prima aveva generato Modesty Blaise ma aveva qualcosa in più. Sylvette ( mentre la ‘mia’ è Silvyette) era nera, un’indossatrice che non fatico a immaginare un po’ con la bellezza e il piglio di Laura Gemser e, nella sua prima avventura (Oh quante belle spie -Folie noire ) catturava subito malgrado la traduzione a tratti zoppicante e imprecisa (intimazione invece di intimidazione, i guerriglieri animisti, adoratori di feticci diventavano ‘feticisti’ evocando chissà quali perversioni sessuali, l’uso ripetuto del termine ‘negro’che forse allora si usava ma oggi sta proprio male e una serie di altri dettagli linguistici che perdoniamo a Bruno Just Lazzari in virtù del super lavoro di quegli anni) si presenta con una giusta dose di aggressività. Prima di tutto Sylvette non è la versione femminile di James Bond. Non è una ‘mangia uomini’ anche se il sesso le piace, sa cavarsela con armi e nel corpo a corpo ma mantiene una sua identità. La conosciamo proprio in una missione di prova alla fine della quale, stanca del mondo degli inganni dello spionaggio, quasi lascerebbe perdere.
Prelevata da una sfilata di moda viene catapultata in un immaginario stato dell’Africa occidentale, facilmente individuabile Invece di Costa d’Avorio qui si parla di Costa d’Ebano ma le tensioni razziali, il tribalismo, l’ingerenza delle potenze straniere e dei mercenari sono un ritratto avventuroso ma abbastanza realistico che, negli anni, non perde smalto. Soprattutto il ritmo che ci porta da un colpo di scena a un altro non viene mai meno. Sylvette ha le sue idee intrise di filosofia beat e pacifista tipica di quegli anni ma in fondo si sente autenticamente ‘francese’. Ciò non significa che accetti ogni regola e imposizione senza discutere. Eppure ha doti che altri non hanno. Per convincerla i suoi capi addirittura la mettono sulla pista del padre presunto prigioniero in un ospedale di una zona contesa. Il vero obiettivo però è uno scienziato cinese. E qui comincia una sarabanda di agenti doppi e tripli, tra fazioni selvagge e mercenari, sparatorie e fughe nella giungla. Una storia che in sole 134 pagine (quello era il formato : a doppia colonna) sapeva intrigare e mi spinse ad acquistare poi anche Pantera nera, ambientato a New York. Qui si cercava un misterioso dossier del quale si ignora il contenuto e Sylvette era accoppiata con un agente maschio che imparerà qualcosa di se stesso. Se vogliamo c’è, nei racconti della Cabrisseau (autrice anche di saggi sulla Magia Nera africana, interpretata in chiave pop molto in voga all’epoca) una carica di femminismo che non stona con la collana. I personaggi secondari sono sempre ben caratterizzati, l’azione è realistica, almeno quanto può esserlo questo genere di vicende, e la proposta riscosse successo. Anche Orchidea Nera è un titolo da rivalutare.
A Montevideo viene rapito l’ambasciatore canadese e in virtù dei rapporti tra Francia e Canada la nostra pantera viene inviata in missione. Il suo compito è di fingersi la solita modella hip, facile preda intellettuale dei rivoluzionari. Si pensa infatti che il colpo sia stato messo a segno dai Tupamaros, all’epoca eponimi della rivoluzione sudamericana. Ma , come sempre, Sylvette riesce con freschezza e un pizzico di ingenuità a sbrogliare la matassa e a rivelare un piano ben diverso. Insieme a Olivia di Jean Laborde, Sylvette è uno dei tantissimi prodotti di exploitation che strizza l’occhio sia agli agenti alla OSS117 che al cinema nero di quegli anni con le sue Pam Grier e Tamara Dobson. Viene dalla scuderia dell’editrice Plon che aveva una collana di spionaggio proprio per gli autori meno prolifici di Bruce ma che diede in quegli anni grandi soddisfazioni agli appassionati.
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