Articolo di Ivo Tiberio Ginevra
AVVERTENZE
Un giorno un vecchio
amico m’incontrò alla cassa della libreria con un libro di
Westlake in mano. Dopo i primi convenevoli iniziò a parlarmi
dell’autore americano che avevo appena acquistato come se fossi un
suo ammiratore ed era felice di poter parlare finalmente con qualcuno
che lo stimava, perché “Westlake in Italia è poco
tradotto”….”perchè di lui in giro si trova poco e
niente”…”dobbiamo fare un club per farlo conoscere”.
Insomma era un vero estimatore che mi dava pacche sulla spalla
contento come un bambino parlando del suo beniamino. All’inizio
restai frastornato. Pensai pure di filargliela perché non volevo
deluderlo, ma sull’argomento era anche troppo preparato. Provai ad
uscirmene spostando la conversazione su altri autori, però anche
questo fu impossibile. Quando poi iniziò ad attaccarmi con delle
domande specifiche, non mi restò altro che confessare l’amara
verità: “Io non ho mai letto nulla di Westlake”. In
effetti avevo comprato quel libro perché la copertina era
accattivante e la quarta mi aveva intrigato. “Poca cosa”
disse congedandomi. “Mi cercherai a casa per farti prestare
tutto quello che ho di Donald” disse proprio così: “Donald”
perché: “Ricorda! Lui è peggio di una droga se ti piace un suo
libro non potrai più farne a meno. Devi leggerli tutti”.
Per strada rimasticavo
questa frase e me la dissi anche quando iniziai la lettura.
Il libro lo divorai in
poco tempo. Autore veramente notevole, scrittura eccellente. Un mondo
nuovo! Capii subito che non avrei potuto più far a meno di Westlake.
Dovevo spararmi subito una seconda dose. Cercai su Wikipedia
informazioni sullo scrittore e (e qua il motivo dell’avvertenza
introduttiva) e scoprii che questo mostro aveva pubblicato quasi un
centinaio di romanzi. Dopo lo sconforto iniziale non sapevo più se
gioire o incazzarmi come una bestia. Se iniziare subito un programma
di disintossicazione o perdermi nei fumi della droga targata “Donald”
Alla fine scelsi la seconda soluzione iniziando ad acquistare tutto
quello che mi capitava, perché Westlake, purtroppo o per fortuna è
davvero una droga.
Fatte queste doverose
AVVERTENZE e ripetendo la frase che se ne leggi uno poi devi
leggerli tutti, da esaltato scrivo quattro indegne righe su uno
dei suoi capolavori: The hot rock (la pietra che scotta).
The hot rock (la
pietra che scotta).
LA TRAMA E RECENSIONE
The hot rock è una
pietra che scotta. E scotta molto, moltissimo. Si tratta del diamante
Balabomo….. conteso dalle nazioni Akinzi e Talabwo.
<<Dicono che una
delle due tribù aveva uno smeraldo, un gioiello e la gente lo
adorava come se fosse stato un dio. Oggi lo smeraldo è il loro
simbolo. Come una mascotte. Come la tomba del milite ignoto. Roba del
genere insomma>>.
<<Uno
smeraldo?>>.
<<Dicono che
vale mezzo milione di cocuzze>> fece Kelp.
<<Un bel po’>>.
Al momento il diamante è
in possesso degli Akinzi, ma il maggiore Patrick Iko dei Talabwo
vuole rubarlo per ridarlo al suo popolo. Per far questo ingaggia una
banda di ladri e commissiona il furto. L’occasione è troppo
ghiotta per Dortmunder e i suoi quattro complici perché al momento
lo smeraldo si trova esposto al Coliseum di New York. Il capo di
questo gruppo, John Dortumunder, elabora un piano artificioso per
rubare la pietra preziosa, ma il furto si rivelerà molto più
complicato del previsto. Non posso anticipare altro perché il libro
vive su tutte le trovate geniali che l’autore snocciola in quantità
impressionante, fino al suo incredibile epilogo.
GLI INEFFABILI CINQUE
John Arcibald
Dortmunder è la mente. L’archetipo del criminale
mancato. Alle spalle ha un matrimonio fallito, due condanne per
rapina e una serie d’insuccessi. Andy Kelp: un
pregiudicato specialista in furti d’automobili e con un debole per
quelle dei medici. Stan Murch: un povero diavolo
che vive con la madre, una tassista stramba, e che ha una spiccata
sensibilità musicale. La sua passione sono i dischi che riproducono
rombi di motori, stridio di freni, urla di pneumatici che mordono
l’asfalto. Roger Chefwick: magari un po’
picchiato, con la sua mania per i trenini elettrici, ma in fondo
neanche tanto. Lui la sua smania la soddisfa e riesce nientemeno che
a guidare una vera locomotiva. Alan Greewood:
uomo tuttofare soprattutto con le donne.
Ecco, questi i componenti
della banda e su tutti Dortumunder. Il capo. La mente. Con il suo
humor. La sua ostinazione, sfortuna e genialità. Protagonista
memorabile dei romanzi di Westlake, insieme ai suoi degni compari,
tutti fin troppo ben caratterizzati. Sembra un miracolo, come lo
scrittore in poche pagine riesca a tracciare profili psicologici così
completi e complessi. E non solo dei protagonisti, ma anche di tutte
le comparse del romanzo come il maggiore Patrick Iko, l’avvocato
Eugene Prosker o il Grande Miasmo. Tutti perfetti, incredibilmente
completi e indimenticabili, e questo vale anche per qualsiasi
personaggio minore di Westlake della serie Dortmunder, fra i tanti
ricordo Tiny Bulcher, e il barista Rollo di O.J.
Amsterdam Avenue.
Dietro il banco c’era
Rollo, alto, grasso, pelato, guance illividite dalla barba, camicia
bianca sporca e grembiule bianco ancora più sporco.
Quel pomeriggio,
Dortumunder aveva già organizzato le cose telefonicamente, con
Rollo, ma si fermò egualmente un attimo al banco, un po’ per
educazione e un po’ per chiedere <<è arrivato qualcuno?>>.
<<Uno solo>>
rispose Rollo <<un birra alla spina. Non mi pare di conoscerlo.
È nella saletta posteriore>>.
<<Grazie>>.
<<Tu sei un
Bourbon doppio, vero? Te lo porto subito>>.
Dortmunder lo guardò.
<<Mi sorprende che ti ricordi ancora i miei gusti>>.
<<Io non
dimentico mai, i miei clienti>> rispose Rollo. <<Lieto di
riaverti qui. Se vuoi, ti porto tutta la bottiglia>>.
E poi più tardi.
<<Fuori c’è
un tipo che deve essere venuto per te>> disse <<Uno
“Scherry”. Devo farlo entrare?>>.
Oppure
Un momento dopo entrò
Greenwood, con un bicchiere pieno in mano e una saliera nell’altra.
<<Il barista dice che “Birra alla spina” vuole questo>>
esclamò.
<<Sì grazie>>
rispose Murch.
Lo stile di Donald
Westlake è uno di quelli che si ricorda. La sua scrittura non è mai
banale eppure è sempre leggera. È versatile e gradevole. Proprio a
lui dobbiamo l’inserimento dell’umorismo nelle trame gialle e
poliziesche fino all’invenzione del romanzo comico crime con
le sue trovate geniali, sfortunate, imprevedibili, scalcinate e
divertenti, ma sempre, e sottolineo sempre, con un’equilibrata
naturalezza a tratti disarmante. Come se, tutto quel marasma
d’incredibilità comica fosse una conseguenza logica della storia
donata al lettore con un semplice sorriso. Tutto questo, grazie ad un
uso scorrevole e semplice della scrittura, resa accessibile a
chiunque, magari povera di narrazione a beneficio dei dialoghi,
sapientemente dosati e ricchi di un’ironia che sconfina nel puro
divertimento della lettura. Nelle storie di Dortumunder c’è sempre
una costante: LA MALASORTE. Si manifesta sempre. Può essere
improvvisa oppure presente fin dall’inizio, ma di certo è sempre
incallita, ossessiva, e semplicemente perfetta come un meccanismo ad
orologeria che innesca una bomba di situazioni, gag e trovate
esilaranti, del tutto geniali e ripeto in linea con i personaggi e la
storia stessa, come se questo parossismo fosse logico e naturale.
Questo è il dono di Westlake che resta indimenticabile per la
profonda ironia che manifestano i suoi protagonisti. Grazie a questo
insito humour, le azioni criminali del gruppo appaiono addirittura
credibili e del tutto normali.
Greenwood puntò il
dito contro il cane e ordinò:<<A cuccia!>>.
Il cane si voltò a
guardare Greenwood, incuriosito. Probabilmente si stava chiedendo:
<<E che è questo sconosciuto che sa come parlare ai cani?>>.
Il cane parve
stringersi nelle spalle. Nel dubbio obbedisci agli ordini. Si mise a
cuccia.
<<Avanti>>
disse Greenwood a Dortmunder. <<Non ti darà più fastidio,
ora>>.
<<Ne sei
sicuro?>>. Lanciando un’occhiata dubbiosa al cane, Dortmunder
fece un passo verso i gradini.
<<Non far vedere
che hai paura di lui>> consigliò Greenwood.
<<E come faccio
a non farglielo vedere?>> rispose Dortmunder, ma tentò di
assumere un atteggiamento coraggioso.
Il cane parve
perplesso. Guardò Dortmunder, poi ancora Greenwood.
<<Fermo!>>
ordino Greenwood.
Dortmunder si fermò.
<<No tu>>
disse Greenwood. <<Il cane>>.
<<Oh!>>,
Dortmunder scese i gradini, passando vicino al cane, che gli annusò
il ginocchio sinistro come per assicurarsi di poterlo riconoscere
quando si fossero incontrati di nuovo.
<<Fermo!>>
ripetè Greenwood, puntando il dito contro il cane, e poi si voltò
per seguire Dortmunder e Kelp fino alla macchina.
Salirono, con
Dortmunder dietro, e Kelp li portò via di lì. Il cane, ancora
accovacciato allo stesso posto, li seguì con lo sguardo finché non
furono scomparsi. Forse stava imparando a memoria il numero della
targa.
IL FILM - La pietra che
scotta
Wiliam Goldman con molte
licenze, ha tratto un arrangiamento piuttosto gradevole ed a tratti
elisarante del romanzo di Westlake. Ad interpretare Dortmunder c’è
un Robert Redford piuttosto credibile e ben coordinato da Gorge Segal
e Paul Sand. La regia impeccabile e leggera è di Peter Yates, mentre
le musiche sono di Quincy Jones ed entrano nel sangue.
Il prodotto
cinematografico è ben fatto e mi sento di consigliarlo per passare
qualche ora di spensierato divertimento.
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Che goduria questa recensione. E che vergogna non trovare nessun commento. A quanto pare i westlakiani sono pochi. Pochi persino tra gli scrittori, ahimé. Le parole di Ivo Tiberio Ginevra trasudamo amore, un amore condiviso. Leggere Westlake è come vedere McEnroe sotto rete o Maradona dei tempi belli palla al piede. Tutto, anche l'impossibile sembra semplice. Negli Stati Uniti Westlake è considerato "Il maestro" dai suoi colleghi di crime fiction. Lo è certamente per me.
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