Oggi abbiamo il piacere di intervistare l'autore che ha dato vita a uno dei più amati commissari Italiani, Il commissario Ricciardi.
Tu ti definisci spesso “ scrittore
per caso”, ti va di raccontarci come lo sei diventato?
Io a scrivere
non ci pensavo affatto. Avevo quasi cinquant’anni, una situazione
familiare finalmente equilibrata, un lavoro che non lasciava molto
tempo al resto. E l’hobby della lettura, una voglia famelica di
leggere che mi ha accompagnato per tutta la vita e mi accompagna
ancora. Poi alcuni amici, per scherzo, mi iscrissero a un concorso
per giallisti esordienti che si teneva proprio a Napoli e io, per non
mostrare poca voglia di misurarsi, mi dissi: perché no? Il concorso
lo vinsi, contro ogni previsione. E lo vinsi con un racconto il cui
protagonista era un certo commissario Ricciardi.
Come è nato
Ricciardi? E come mai hai scelto di dargli il suo “fardello”,
cioè la facoltà di vedere gli ultimi istanti di vita dei morti e
sentire le loro parole?
Come ho detto
Ricciardi è nato per puro caso. Ero in cerca di ispirazione quando,
all’esterno del caffè dove si teneva il concorso, passò una
bambina che si fermò a guardarmi, al di là della vetrata, e poi mi
fece una boccaccia; mi voltai e mi accorsi che gli altri concorrenti,
impegnati a scrivere furiosamente, non l’avevano vista. Allora mi
chiesi come doveva essere la vita per qualcuno costretto a vedere
qualcosa che nessun altro vede, e dovendo scrivere un racconto giallo
fu naturale immaginarlo poliziotto e fargli “vedere” qualcosa di
terribile, come la morte violenta. Il resto del Fatto, la
caratteristica di Ricciardi, si è sedimentato racconto dopo racconto
nel tempo, e ancora vado conoscendolo io stesso.
La prima
motivazione è casuale, e riguarda la struttura liberty del Caffè
Gambrinus, il locale storico napoletano dove si svolse il famoso
concorso e nel quale, per celebrare la circostanza, ambiento almeno
una scena di ogni romanzo; l’altra è più strutturale, e riguarda
la mia idiosincrasia per l’eccessiva scientificità delle indagini
che allontana inevitabilmente dalla quota emotiva e passionale che
c’è in ogni delitto. Gli anni ’30 sono gli ultimi nei quali la
polizia scientifica non faceva sentire pesantemente la propria
presenza, e come ambientazione mi pareva (e mi pare ancora)
interessantissima da raccontare: un’epoca non lontanissima, ma
dimenticata, sulla quale è difficilissimo ma molto stimolante
ricercare dati e informazioni. Comunque sono molto meticoloso e
quando inserisco un dato qualsiasi l’ho prima verificato con la
massima attenzione.
Napoli e i napoletani sono cambiati
molto da quegli anni o l’ironia, la dignità, la tolleranza , la
forza e la rassegnazione che si trovano nei tuoi personaggi sono
rimasti inalterati?
Alcuni aspetti
della napoletanità sono perenni e quindi passano intatti dagli anni
trenta ai giorni nostri, sia in positivo che in negativo. La
disperazione, l’ironia, la testarda lotta per la sopravvivenza,
l’incapacità di pianificare a lungo termine; ma anche la dignità,
l’amore per la propria famiglia, per il proprio territorio. Cerco
di raccontare tutto questo, senza commentare o inquinare con le mie
opinioni, semplicemente descrivendo i caratteri e i comportamenti,
perché il lettore possa costruire una sua immagine. La scrittura è
innanzitutto questo.
Quanto è importante Napoli per te e
per i tuoi libri?
Centrale,
direi. Napoli non si adatta, non rimane sullo sfondo. Si impone, è
invadente e rumorosa, guadagna la scena e la mantiene. Non è mai una
semplice ambientazione, è un vero e proprio protagonista, nei libri
come nella nostra vita quotidiana. Credo che non saprei scrivere
storie ambientate altrove, la mia voce nasce e muore nell’ambito
della mia città.
I tuoi personaggi e la tua scrittura
sono “avvolgenti”, precedendo nella lettura se ne rimane
affascinati, dimenticandosi spesso che c’è anche un giallo da
risolvere, sei conscio di questo ? Ti fa piacere o ti dispiace?
Ti ringrazio,
il tuo è un meraviglioso complimento, anche se tutta la fatica che
faccio per “costruire” il giallo, gli indizi veri e quelli falsi,
ne esce un po’ mortificata. Il segreto è emozionarsi, come sempre:
seguire i personaggi con passione, vivere con loro e sentire le
stesse cose, amore, odio, simpatia e antipatia. E ricordare
costantemente che ognuno di loro, anche il più marginale, il più
secondario, ha una sua storia personale che va rispettata.
Posso dire che hai una prosa “
poetica”?
Cerco
l’introspezione, le immagini pensate, le emozioni e gli echi delle
passioni. Forse è questo che dà l’idea della poesia a chi legge.
Ma cerco comunque di raccontare la storia, ogni singola parola è
funzionale a questa esigenza. Un linguaggio apparentemente poetico
nasconde indizi per il lettore, forse è questo che piace dei miei
romanzi. Anzi, lo spero.
Come procedi quando scrivi? E’ tutto
ben delineato dall’inizio o i tuoi personaggi ti scappano dalle
mani e diventano indipendenti?
Quella che è
delineata e costruita con cura è la storia gialla. Quando comincio a
scrivere so chi è morto, come, perché, chi lo ha ucciso e in quale
circostanza, chi sembra o può sembrare che l’abbia fatto e perché.
Il resto, tutte le interazioni e le relazioni che intercorrono tra i
personaggi, lo sviluppo dei caratteri, l’evoluzione delle vicende
personali, le lascio andare liberamente secondo il corso che la
storia determina. La parte più interessante e divertente della
scrittura, e anche la più creativa, è proprio questa:
l’indipendenza dei personaggi. E’ là che divento il mio primo
lettore, ed è là che lo scrittore si diverte.
Ti sei definito uno che scrive “ con la pancia e con il cuore”…,ci spieghi cosa intendi?
Rifletto poco,
preparo poco. E soprattutto non mi pongo mai il problema di quello
che può piacere o non piacere ai lettori, e non perché non gli
voglia bene (li adoro tutti!), ma perché sono convinto che una
storia debba conservare la propria autonomia. Allora lascio andare
l’istinto, mi metto alla finestra e racconto quello che vedo
accadere. Né una parola in più, né una in meno. Intendo questo,
quando parlo di pancia e di cuore: sono poco razionale e molto
istintivo.
Qual è la cosa più bella dello
scrivere?
La faccia di
chi ti legge, o di chi ti ha letto. E’ come aver fatto un lungo
sogno, svegliarsi e scoprire che in tanti l’hanno condiviso, hanno
provato le stesse emozioni e che il loro coinvolgimento è maggiore
del tuo. Un vero incanto.
Dove trovi l’ispirazione per le tue
storie?
Non saprei da
dove nascano le singole storie. Mi basta andare con la mente nella
città di allora, nella specifica stagione, sentire sotto le scarpe
il terreno sconnesso delle strade, ascoltare il rumore del mare e
delle ruote delle carrozze o dei motori di quelle antiquate
automobili, e guardarmi attorno. Finora è bastato a scrivere i
romanzi, e anzi spesso devo forzarmi per non raccontare tante piccole
storie che mi vengono agli occhi mentre scrivo. Se dovessi, prima o
poi, non avere più idee, allora magari aprirò il giornale.
Secondo te, quali sono le caratteristiche che rendono un libro un buon libro?
Penso che un
libro buono, così come un film, una canzone o un quadro, debba
lasciarti un po’ diverso da com’eri prima di leggerlo. Una
piccola cicatrice sull’anima, una ruga o una lacrima, un sorriso.
Una parola che di là a mesi o anni ti faccia ricordare quella
storia, l’incanto e il rapimento che hai avuto nel leggere, anche
solo per un attimo. Io sono pieno di queste cicatrici, tanto da dirti
che non credo di aver mai letto un libro così inutile o brutto da
non lasciarmi qualcosa, anche di minuscolo. Non sono un buon critico,
temo; mi emoziono troppo facilmente, sarà l’età.
Sei molto amato dal pubblico, quanto è
importante per te il filo diretto che intrattieni con i lettori?
Assolutamente
fondamentale. I lettori sentono la passione, la riconoscono e la
ricambiano con gli interessi. In particolare un gruppo di lettura, i
Corpi Freddi dell’omonimo blog, partecipa alla mia scrittura; parlo
con loro della trama del prossimo romanzo, mi confronto, li consulto
e poi aspetto con trepidazione l’opinione che avranno del romanzo,
soffrendo molto se a qualcuno non piace il romanzo. In generale
quello che condivido coi lettori è la curiosità, l’amore per il
mondo e i personaggi che ho inventato. Credo sia una prerogativa dei
personaggi seriali.
Credi che i social networks e i blog
dedicati ai libri siano un valido aiuto per gli autori?
Come ho detto
prima, credo che non sia una buona idea per lo scrittore indagare i
gusti dei lettori. Se ne rimane inevitabilmente influenzati e questo
toglie spontaneità alle storie. Penso che i social network e i blog
restituiscano però l’affetto, la passione di chi condivide i
racconti e il mondo dei romanzi, ed è una sensazione meravigliosa e
impagabile. Ecco, direi che per gli autori sono contesti
importantissimi ma a valle della scrittura, non a monte.
Il 2011 è stato per te un anno di
grandi soddisfazioni, premi e riconoscimenti, cosa ti aspetti dal
2012 e cosa dobbiamo aspettarci da te noi lettori?
Non cerco i
premi e i riconoscimenti, anche se è innegabile che mi faccia felice
rilevare il riscontro positivo che le mie storie hanno. Mi aspetto
quello che vorrebbe ogni scrittore, cioè ancora più lettori e
ancora maggiore condivisione. In cambio vorrei dare, oltre al
Ricciardi… d’ordinanza, un altro romanzo. Magari contemporaneo.
Così. Giusto per vedere se lo so scrivere. Tu che ne dici?
Intervista a cura di Cristina Aicardi
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si si...curiosa di leggere un non Ricciardi!!
Graziella Sciabbarrasi
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