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L’assistevo oramai da vent’anni. Si era ridotta a un vegetale. Ogni giorno la pulivo due volte da capo a piedi e poi ogni volta che se la faceva addosso. Non mangiava più. Non parlava più. Non una parola. Mai una parola. Guardava semplicemente il soffitto. Solo il soffitto in un punto fisso senza mai cambiare. Tutto il giorno. Senza chiudere gli occhi. Sempre così. Io le parlavo, ma non capiva niente. Niente. Poi presi a parlarle per abitudine. Per far passare il tempo. Per non impazzire da sola in quella stanza tutto il giorno con quel vegetale che sì, ho tanto amato. Anche i pensieri oramai li dicevo ad alta voce. Poi ieri mentre parlavo, vidi un qualcosa di strano. Si era animata. O meglio, stava sempre ferma, ma sembrava che vivesse. Poi prese a respirare sempre più forte con un maggiore affanno. Pensai che stesse per morire. Mi spaventai, poi all’improvviso gridò “SI’”. Solo un'unica parola uscita dal profondo del suo essere. Pronunziata, anzi gridata con tragica disperazione dopo aver raccolto tutte le forze dai punti più oscuri e profondi del suo corpo. Poi basta. Di nuovo fissa a guardare quel punto nel desolato soffitto. E io con tutta la pelle accapponata. I brividi nel cervello.
Non dormii tutta la notte. Ero ancora scioccata. Alla fine compresi perché aveva urlato quel SI’ che ancora mi rimonta nelle vene. Aveva risposto ad una mia domanda e io non ci pensavo più. Allora mi avvicinai. Mi frapposi fra i suoi occhi e il soffitto, ma il suo sguardo mi trapassò per andare su quel maledetto punto. Le dissi di guardami. Mi guardò. Le chiesi se voleva morire, e chiuse gli occhi.
Staccai la spina di quella macchina che la teneva in vita e mi distesi accanto a lei. Carezzavo il suo viso e i capelli bianchi poggiati sul mio grembo. Le dissi che l’amavo. Le diedi coraggio. Una sua lacrima mi bagnò il palmo della mano e poi tutto finì.
Composi quel piccolo fagottino inerme sul letto. Baciai i suoi capelli per un ultima volta. Le diedi un’ultima carezza.
Il medico venne dopo due ore per costatare il decesso e l’indomani fu seppellita.
Mi faceva troppo pena. Le parlavo, ma non capiva niente.
Testo a cura di Ivo Tiberio Ginevra
Musica a cura di Irene Petrella
Fotografia a cura di Thrillerpages
Ivo Tiberio Ginevra ha scritto anche Gli assassini di Cristo, che ha ricevuto tante buone critiche dai lettori di Thrillerpages.
Il blog di Ivo: http://ivoginevra.blogspot.com
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9 Lascia un commento:
stralcio di vita che tanti forse hanno vissuto, in bilico tra bene e male, quello vero, quello quotidiano, quello che accompagnerà la coscienza per sempre. musica che accompagna tristemente una scelta di morte che per molti ha il sapore della dignità della vita. mi sembra di vederla con i suoi capelli argentei che quasi come un miracolo usa il suo ultimo respiro per quel "si" tanto sospirato. ancora una volta l'autore mi fa entrare nella storia come se fossi li all'angolo della stanza che invece di leggere, guardo. la musica è la terza protagonista della storia egregia scelta. lo condivido sicuramente.
Molto molto bello, sembra scritto di getto (su qualche tempo verbale avrei riflettuto di più).
Ha risvegliato in me molti ricordi di vita passata e di sentimenti sospesi mi è piaciuto grz Ivo
Molto bello ben curato tutto il contesto musica, immagini....sembra di essere li in quella stanza...e di provare quel dolore. Un crescendo finale emozionante il tutto condensato in poche righe. Discuto soltanto il messaggio finale. (Non ci si toglie la vita ne la si toglie ad altri).
E' difficile in così poche righe parlare di vita di morte, di scelte, di dolore; l'autore lo fa egregiamente accompagnando il lettore dentro quella stanza, insieme a quelle donne.
Quel "SI", poi lo vedo come un grido di speranza non non di disperazione. Complimenti, esperienza non semplice ma ben riuscita
Brividi !! Ecco Le mie sensazioni, L'autore riesce in un tempo brevissimo, a suscitare grandissime emozioni. Ritengo Ginevra uno da tenere d'occhio per il futuro.
Tema difficile. Troppo. L'autore però riesce nell'intento di far rivivere l'emozioni provate in quei momenti. Inoltre trovo molto difficile da uomo scrivere e pensare come una donna, cosa che all'autore riesce egregiamente.
Racconto di intensa e umana drammaticità; la musica ben si inserisce nel dramma ma non lo accentua, amplia lo spazio temporale di quella stanza e ti ci porta dentro.
Caro Ivo, mi viene da pensare che ci sia qualcosa di autobiografico in quello che scrivi. Traspare una vissuta partecipazione a quello che scrivi, a meno che tu, non avendo vissuto certe situazioni, da abile scrittore sia riuscito a calarti nella parte. Complimenti.
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