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Me ne stavo lì, a terra. Con un fiotto di sangue che si riversava su quel freddo e desolato marciapiede.
Stavo crepando.
Lo sapevo e non potevo farci niente, se non aspettare la morte.
Tenevo la mano premuta contro la ferita illudendomi di poter fermare l’emorragia, ma il sangue continuava a uscire, scorrendomi tra le dita. Continuavo solo a chiedermi come fossi arrivato in quel fottuto angolo di strada a quell’ora di notte per crepare solo come un cane. Questa domanda bruciava più della ferita. Scavava in ogni angolo della testa come un roditore bloccato nella propria tana.
Era difficile capire quanto tempo fosse passato e perché ancora non fossi crepato o svenuto. Riuscivo a malapena a respirare. Avevo perso molto sangue come pure la speranza che qualcuno mi soccorresse.
Poi, finalmente, vidi un’auto accostarsi al ciglio del marciapiede sull’altra corsia. Era una bella macchina sportiva, molto elegante. Lo sportello del guidatore si aprì. Scese un uomo. Io non sono credente, ma in quel momento pregai il cielo e le sue Divinità che quel tizio potesse avvicinarsi e accorgersi di me. L’uomo attraversò la strada. Si diresse nella mia direzione. Raccolsi le forze. Dovevo riuscire ad attirare la sua attenzione. Il silenzio di quella notte mi avrebbe aiutato
L’uomo puntò verso il distributore di preservativi posto fuori la farmacia chiusa, a pochi metri da me. Andava bene. Da quella distanza mi avrebbe di certo sentito.
In quel momento due ragazzi si avvicinarono all’auto. Uno rimase fuori a tenere sotto controllo la strada, l’altro salì dal lato guidatore. Dopo qualche secondo quello in piedi indicò al suo compare l’uomo che poco prima era sceso dall’auto. Probabilmente stavano cercando le chiavi.
Il ragazzo scese dall’auto, attraversò la strada e puntò verso il proprietario dell’auto ormai prossimo al distributore. Durante il breve tragitto sfilò dalla cintola dei pantaloni una pistola. Pochi secondi e la canna di quell’arma avrebbe trovato il suo bersaglio. La via era deserta, poliziotti non si vedevano e i conducenti delle poche auto che passavano erano occupati a pensare ai propri cazzi.
Il tipo dell’auto era a pochi metri da me. Era questione di secondi. Cercai di richiamare la sua attenzione, ma dalla mia bocca non uscì nemmeno un suono. Era fregato e io con lui.
Il ragazzo era alle sue spalle, alzo la canna della pistola, ma non ebbe tempo di dire o fare un cazzo di niente perché l’uomo si voltò velocemente, disarmandolo. La pistola finì a terra.
Solo in quel momento mi resi conto che la vetrina della farmacia, completamente buia, rifletteva l’intero tratto di strada come fosse un specchio. L’uomo dell’auto aveva visto quello che stava accadendo, ma non era fuggito. Colpì il ragazzo al viso e poi gli diede un violento colpo al ginocchio. Sentii il crack delle ossa.
Solo in quel momento riconobbi quell’uomo. Tutto mi era familiare: gli abiti, il modo di muoversi, la tracotante supponenza di poter fregare da solo due figli di puttana armati. E soprattutto il suo viso.
Ora sapevo cosa sarebbe accaduto. Lo sapevo perché quell’uomo ero io.
Cercai di avvertirlo, di avvertirmi di prendere la pistola finita a terra e allontanarmi, ma non riuscii a pronunciare una sola parola.
E accade quello che già sapevo: mi sarei avvicinato al ragazzo a terra per scaricare su di lui la mia rabbia, quella che mi portavo sempre appresso. Lo avrei ammazzato di botte. Era questo che volevo fare.
Ma non feci in tempo ad avvertirlo. Una fredda lama entrò nel fianco del mio sosia.
Cercò un appiglio, qualcosa a cui sorreggersi. Fece qualche passo nella mia direzione. Qualche metro e mi trovai a tu per tu con me stesso.
Io a terra, immobile, e l’altro me, ferito, che mi sovrastava. Trovando il vuoto davanti a sé, mi cadde addosso. Chiusi gli occhi, cosciente che quel corpo di oltre ottanta chili sarebbe stata la fine per me. Ma non ci fu alcun impatto, avvertii solo un dolore lancinante nel costato, dove era la ferita, che cominciò di nuovo a versare sangue.
Io, invece, rimasi lì, a terra. Con un fiotto di sangue che si riversava su quel freddo e desolato marciapiede.
Stavo crepando.
Lo sapevo e non potevo farci niente, se non aspettare la morte.
Tenevo la mano premuta contro la ferita illudendomi di poter fermare l’emorragia, ma il sangue continuava a uscire scorrendomi tra le dita. Non piangevo. Continuavo solo a chiedermi come fossi arrivato in quel fottuto angolo di strada a quell’ora di notte per crepare solo come un cane.
Musiche Fotografie e testo a cura di Sam Stoner
Blog di Sam Stoner: http://www.samstonerblog.com/
Stavo crepando.
Lo sapevo e non potevo farci niente, se non aspettare la morte.
Tenevo la mano premuta contro la ferita illudendomi di poter fermare l’emorragia, ma il sangue continuava a uscire, scorrendomi tra le dita. Continuavo solo a chiedermi come fossi arrivato in quel fottuto angolo di strada a quell’ora di notte per crepare solo come un cane. Questa domanda bruciava più della ferita. Scavava in ogni angolo della testa come un roditore bloccato nella propria tana.
Era difficile capire quanto tempo fosse passato e perché ancora non fossi crepato o svenuto. Riuscivo a malapena a respirare. Avevo perso molto sangue come pure la speranza che qualcuno mi soccorresse.
Poi, finalmente, vidi un’auto accostarsi al ciglio del marciapiede sull’altra corsia. Era una bella macchina sportiva, molto elegante. Lo sportello del guidatore si aprì. Scese un uomo. Io non sono credente, ma in quel momento pregai il cielo e le sue Divinità che quel tizio potesse avvicinarsi e accorgersi di me. L’uomo attraversò la strada. Si diresse nella mia direzione. Raccolsi le forze. Dovevo riuscire ad attirare la sua attenzione. Il silenzio di quella notte mi avrebbe aiutato
L’uomo puntò verso il distributore di preservativi posto fuori la farmacia chiusa, a pochi metri da me. Andava bene. Da quella distanza mi avrebbe di certo sentito.
In quel momento due ragazzi si avvicinarono all’auto. Uno rimase fuori a tenere sotto controllo la strada, l’altro salì dal lato guidatore. Dopo qualche secondo quello in piedi indicò al suo compare l’uomo che poco prima era sceso dall’auto. Probabilmente stavano cercando le chiavi.
Il ragazzo scese dall’auto, attraversò la strada e puntò verso il proprietario dell’auto ormai prossimo al distributore. Durante il breve tragitto sfilò dalla cintola dei pantaloni una pistola. Pochi secondi e la canna di quell’arma avrebbe trovato il suo bersaglio. La via era deserta, poliziotti non si vedevano e i conducenti delle poche auto che passavano erano occupati a pensare ai propri cazzi.
Il tipo dell’auto era a pochi metri da me. Era questione di secondi. Cercai di richiamare la sua attenzione, ma dalla mia bocca non uscì nemmeno un suono. Era fregato e io con lui.
Il ragazzo era alle sue spalle, alzo la canna della pistola, ma non ebbe tempo di dire o fare un cazzo di niente perché l’uomo si voltò velocemente, disarmandolo. La pistola finì a terra.
Solo in quel momento mi resi conto che la vetrina della farmacia, completamente buia, rifletteva l’intero tratto di strada come fosse un specchio. L’uomo dell’auto aveva visto quello che stava accadendo, ma non era fuggito. Colpì il ragazzo al viso e poi gli diede un violento colpo al ginocchio. Sentii il crack delle ossa.
Solo in quel momento riconobbi quell’uomo. Tutto mi era familiare: gli abiti, il modo di muoversi, la tracotante supponenza di poter fregare da solo due figli di puttana armati. E soprattutto il suo viso.
Ora sapevo cosa sarebbe accaduto. Lo sapevo perché quell’uomo ero io.
Cercai di avvertirlo, di avvertirmi di prendere la pistola finita a terra e allontanarmi, ma non riuscii a pronunciare una sola parola.
E accade quello che già sapevo: mi sarei avvicinato al ragazzo a terra per scaricare su di lui la mia rabbia, quella che mi portavo sempre appresso. Lo avrei ammazzato di botte. Era questo che volevo fare.
Ma non feci in tempo ad avvertirlo. Una fredda lama entrò nel fianco del mio sosia.
Cercò un appiglio, qualcosa a cui sorreggersi. Fece qualche passo nella mia direzione. Qualche metro e mi trovai a tu per tu con me stesso.
Io a terra, immobile, e l’altro me, ferito, che mi sovrastava. Trovando il vuoto davanti a sé, mi cadde addosso. Chiusi gli occhi, cosciente che quel corpo di oltre ottanta chili sarebbe stata la fine per me. Ma non ci fu alcun impatto, avvertii solo un dolore lancinante nel costato, dove era la ferita, che cominciò di nuovo a versare sangue.
Io, invece, rimasi lì, a terra. Con un fiotto di sangue che si riversava su quel freddo e desolato marciapiede.
Stavo crepando.
Lo sapevo e non potevo farci niente, se non aspettare la morte.
Tenevo la mano premuta contro la ferita illudendomi di poter fermare l’emorragia, ma il sangue continuava a uscire scorrendomi tra le dita. Non piangevo. Continuavo solo a chiedermi come fossi arrivato in quel fottuto angolo di strada a quell’ora di notte per crepare solo come un cane.
Musiche Fotografie e testo a cura di Sam Stoner
Blog di Sam Stoner: http://www.samstonerblog.com/
10 Lascia un commento:
Surreale dark quanto basta per piacermi un sacco Complimenti
Come in altri suoi racconti Stoner colpisce il lettore per la semplicità, ovvero il risultato ultimo è sempre una storia che stupisce per un finale diverso ma semplice.
Non vedo indicato dopo i due punti l'indirizzo del Blog di Sam Stoner...
Sam Stoner, non sa scrivere.
Sam Stoner non sa raccontare.
E' più forte di lui. Lui le cose ve le fa vedere.
Vi ci fa entrare - vi sbatte su quel pezzo di cemento e vi fa sentire la paura di quel fottuto, steso per terra. Fottuto da una vita che gli ha regalato una morte a tutti i costi. Una morte da DNA. NOn c'é via di scampo. Come grandi autori del genere, Stoner mette addosso quell'angoscia di chi - spalle al muro ha capito che non può sottrarsi a quel futuro di lama. Morire, e rimorire e rimorire si può. Tutto é possibile nell'inferno di Sam. Perché l'inferno Sam ce l'ha dentro. Continua a scrivere così caro Scrittore- sono certa questo é solo un devastante inizio. Sei fertile e capace di mettere al mondo mille vite e mille morti. Stanotte portati a letto le tue idee. Soddisfale. Meritano un gran premio.
Chapeau\
Perfetto e spietato come solo sa essere Mike Hammer, duro e immediato come un pugno in faccia, riflessivo e sognante come Nick Belane, NERO, NERISSIMO come la New York di Cornell Woolrich, freddo e desolato come James Ellroy, la morte in diretta di Ellis.
Ti adoro Sam perchè scrivi come piacerebbe a me... Scrivi come un bastardo!
grazie per i commenti... meglio che sentir dire a una batta da 3.000 pezzi a notte che verrà con me gratis
un novello Sisifo noir..nero nero e maledetto come solo l'inevitabile può essere ..grande Sam bellissimo racconto!!
Gran bel racconto. Spoglio, dritto al punto senza preamboli. Piano sequenza immobile, urlo afono, sguardo vitreo su un mondo chiuso che proietta all'infinito la propria agonia. Senza via di scampo.
Diego Perugini Ritmiditeatro
Proprio bello questo racconto,dritto al cuore e pungente come una lama.
Piacevolmente stupita bravo Sam!
Vedi di scriverne altri e di credere in te!
:-)che dire è stato già detto tutto, bravo sam!
Non mi ha deluso, Sam. Bel racconto, lascia aperte infinite possibilità, offre al lettore spunti, ma non crea facili soluzioni. Bravo!!
Ida Ferrari
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