mercoledì, novembre 2

INTERVISTA a Bastasi Alessandro

Oggi scambiamo due parole con l'amico Alessandro Bastasi sul suo ultimo libro Città contro.
Ad intervistarlo ci ha pensato il nostro thrillerino Massimo Minimo.

Partiamo dal titolo : perché “Città contro”?
Perché, attorno alla vicenda che racconto nel romanzo, ruotano personaggi, istituzioni, cittadini che sono effettivamente l’uno contro l’altro: gran parte della cittadinanza che è contro il fenomeno dell’immigrazione e quindi contro le iniziative “buoniste” nei confronti degli immigrati (simboleggiate dalla Opus Christi di don Vittorio Ruffini); la polizia giudiziaria contro la procura della repubblica; conflitti all’interno dello stesso mondo degli immigrati tra chi è sfruttato e chi si dà alla criminalità (il Moro, Selim, …) diventando a sua volta sfruttatore.
Il romanzo è ambientato nella tua città, Treviso, che non ne esce molto bene. Hai ricevuto critiche o qualcosa di peggio per questo?
Al momento no, forse perché ancora il romanzo non l’hanno letto! Vedremo dopo la presentazione che farò a Treviso il 24 novembre che cosa succederà… Mi presenterà un giornalista della “Tribuna di Treviso” (gruppo Repubblica-Espresso) cui il libro è piaciuto molto e che curerà la recensione sul suo giornale. “Hai descritto uno spaccato della vita trevisana ahimé molto fedele”, mi ha detto. Stiamo a vedere…
Treviso, emblema del ricco nord-est italiano e specchio di una società in cui conta più ciò che hai rispetto a cosa sei. Da dove nasce tutto questo secondo il tuo parere?
Secondo me il fenomeno, che non è certo limitato a Treviso e zone limitrofe, nasce da un improvviso passaggio da un’economia di tipo essenzialmente agricolo, povera e culturalmente chiusa tra le prediche del prete e lo strapotere del padrone, a un’economia basata su mille piccole imprese industriali e commerciali nate velocemente come i funghi. Una transizione repentina, vissuta senza elaborazioni culturali, che ha portato a una sorta di rivincita sul passato: adesso anch’io “posseggo”, anzi, possiedo più degli altri! Non c’è tempo, per chi deve arricchirsi dopo tanta depressione (ricordiamoci che il Veneto era negli anni Cinquanta e Sessanta terra di emigranti), di stare a pensare alla cultura, un lusso che non ci si può consentire, soprattutto se può mettere in discussione uno stile di vita faticosamente guadagnato. Di qui, anche, il carattere profondamente conservatore della maggioranza di quella società, che spesso fa vedere il “foresto” come un pericolo. Treviso, scrivo nel romanzo, è “orfana dello spirito, troppo ricca di concretezza inutile”
Tema centrale del libro è la questione degli immigrati e della loro difficile convivenza con gli italiani, che spesso sfocia in tragici eventi. Pensi che un giorno sarà possibile un’integrazione pacifica o è pura utopia?
Domanda difficile! Non lo so. Ma non sono molto ottimista. Affrontare il tema dell’immigrazione solo come problema di ordine pubblico certo non aiuta. D’altra parte l’immigrazione, lo spostamento di masse di persone da aree del pianeta più arretrate verso aree ricche, è un fenomeno epocale, inarrestabile, e se non lo si governa con politiche che favoriscano il dialogo tra culture, che accettino l’affermarsi della multiculturalità andremo davvero incontro a situazioni conflittuali che non riusciremo a controllare.
Descrivi le drammatiche condizioni del campo in cui sono costretti a vivere gli immigrati . Hai potuto verificare di persona la loro situazione?
Come ho già detto in un’altra intervista, qualche anno fa sono andato a visitare un campo di migranti, anch'esso alle porte di Treviso, anche se collocato diversamente da quello del romanzo. Nel campo insegnava l'italiano (come l’Alberto Sartini del romanzo) una mia amica, una maestra in pensione, che non solo mi ha illustrato le condizioni di vita, ma mi ha raccontato le storie di queste persone, alcune delle quali ho trasportato nel romanzo. Sono poi diventato amico di un senegalese che, a Milano, incontro tutti i sabati nei pressi di un mercato, dove vende la rivista Terre di mezzo, e lui mi racconta del terrore di vivere senza permesso di soggiorno, lui che, come il Moussa del libro, non fa nulla di male se non raccattare quattro soldi da inviare a casa.
Due personaggi mi hanno colpito in particolare : uno, Moussa, in positivo, l’altra, Betti, in negativo. Puoi dirci qualcosa di loro, senza svelare troppo a chi ancora non ha letto il libro?
Moussa è il tipico migrante che lascia il suo paese, e i suoi affetti, in cerca di fortuna. E’ un senegalese, proveniente da un villaggio senza prospettive, deve mantenere la moglie, i figli e il vecchio padre. Lui lavora, ha il permesso di soggiorno, è in regola. Ma con la crisi è stato licenziato, e il permesso gli sta per scadere. Moussa ha fama di persona onesta, integra, è sensibile ed educato. E Giovanna, che coopera con la Opus Christi, lo aiuta, affidandogli il compito di farle da segretario. Moussa lavora in casa di Giovanna, dove ha la ventura di passare molte ore gomito a gomito con Betti, la giovane colf. E qui succede quello che si può immaginare. Moussa è un uomo vigoroso, e Betti, nonostante i suoi pregiudizi sugli uomini di colore, non se lo lascia scappare…
Betti invece è l’emblema di certa gioventù di provincia, poco colta, succuba delle mode, di uno stile di vita imposto dai canoni pubblicitari, insoddisfatta del suo stato. E’ irrequieta, sessualmente disinvolta, il mondo che sogna è quello delle Gregoraci, delle starlette della TV, delle Noemi Letizia… meta che ritiene di poter raggiungere grazie alla sua bellezza prorompente anche se un po’ volgare. “Aveva sentito dire dell’agenzia di un tale a Milano, il tizio delle dive della televisione. Ecco, quello sarebbe stato il prossimo passo. E se le avessero chiesto di darla a qualche potente, non si sarebbe di certo tirata indietro.”
Sei già al lavoro sul prossimo libro?
In realtà di idee nella mia mente ne stanno girando parecchie. Una di queste vede ancora come protagonisti Alberto Sartini e sua moglie Valentina, già personaggi della “Gabbia criminale” e di questo “Città contro”, in una nuova storia di sangue e delitti. Ma quello che mi intriga di più è uno spunto del tutto nuovo per un romanzo noir ambientato a Milano, dove il protagonista è un ex terrorista delle Brigate Rosse, che a un certo punto si trova a fare i conti con la propria storia. Il plot è già abbastanza definito, devo trovare il tempo di mettermi al lavoro.
Parliamo un po' di te, di cosa ti occupi nella vita oltre a scrivere?
Oltre a scrivere recito, un’antica passione che mi ha portato negli anni Settanta a lavorare con Gino Cavalieri, uno dei grandi del teatro veneto. L’ultimo lavoro cui ho partecipato è “Virginia”, un atto unico andato in scena alla fine del 2010, e che ancora portiamo in giro, scritto da un magistrato-scrittore, Giuseppe Battarino, e da Dolores Fusetti e Luciano Sartirana. La messa in scena analizza il rapporto tra un giudice (io), una giovane imputata di spaccio di stupefacenti e il suo avvocato (una donna), nella fase istruttoria in cui il GIP deve convalidare o meno un arresto. E poi ho un lavoro, sono amministratore delegato di una società di software. Ancora per qualche anno…
Cosa ti ha portato a diventare scrittore?
“Scrittore” è una parola grossa. Sarò “scrittore” se e quando potrò vivere dei miei libri. Per ora sono uno “scribacchiante”. In realtà ho sempre scritto, arrivato a Milano nel 1976 ho iniziato a scrivere cronache teatrali per riviste del settore e per un quotidiano, ho scritto un saggio sui media (“Antitrust e pluralismo”), e poi racconti, alcuni dei quali pubblicati in antologie o in siti letterari. A scrivere il primo romanzo mi ha portato una mia permanenza in Russia a cavallo tra il 1990 e il 1994. Le vicende storiche epocali cui assistevo (la caduta dell’URSS, la nascita della nuova Russia) mi hanno spinto a raccontarle in un’opera di fiction. Così è nata “La fossa comune”, così è nato il Bastasi “scribacchiante”.
Dimmi un nome straniero e uno Italiano, di autore che preferisci.
Raymond Chandler. Maurizio de Giovanni.

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