sabato, ottobre 22

Racconti - LA CLESSIDRA di Sergio Ferragina

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Ci sono giornate che non possono che finire male, dovrei saperlo.
In queste giornate uno dovrebbe fare l’unica scelta saggia: chiudersi in casa, abbassare le serrande, spegnere le luci e rimanere a letto fino al giorno successivo, dormendo se è da solo o facendo sesso fino a sfinirsi se è tanto fortunato da avere la giusta compagnia.
Ed io la giusta compagnia l’avrei anche, ma il fare sesso tutto il giorno diventa problematico se la controparte è anche colei che ti ha tirato dietro praticamente tutti gli elettrodomestici di casa prima che fossero le otto del mattino: sia chiaro, non voglio giustificarmi, probabilmente (anzi, sicuramente) era tutto colpa mia, ma la cosa, in questo preciso istante, non mi consola affatto.
Ma è andata così.
La nostra usuale litigata mattutina ed io che esco furibondo per andare al lavoro.
Tutto solito.
Tutto tristemente solito.
Così sono uscito di casa di splendido umore e mi sono recato in ufficio, fiducioso nel futuro prossimo.
Già .
Se cercaste su un’enciclopedia la parola "disastro" probabilmente trovereste come immagini esplicative diversi fotogrammi della mia giornata odierna.
Avreste l’imbarazzo della scelta: la riunione di inizio giornata in cui ci viene comunicata la perdita del più grande cliente della società a causa di un nostro errore, oppure il momento in cui il direttore generale ha deciso di tagliare i fondi del mio reparto, oppure ancora quando qualcuno ha ventilato che la causa di quel maledetto errore sia stato un mancato controllo da parte mia.
Una giornata perfetta, come si può vedere.
E così sono arrivate le sei di sera ed io, capitemi, non avevo alcuna voglia di tornare a casa: non avevo intenzioni strane, posso giurarlo su qualunque divinità voi vogliate, ma semplicemente avevo bisogno di sbollire, avevo superato il limite di rottura e dovevo starmene per i fatti miei.
Tutto qui.
Lo giuro.
Ho girato in auto a vuoto per ore, senza fermarmi a mangiare, senza guardare la strada che facevo, senza dire a nessuno dove mi trovavo, senza pensare ad altro che a guidare.
Non so di preciso come sia finito in quel locale: è in una zona lontana sia da casa che dall’ufficio e non penso ci sarei mai entrato in qualunque altra serata, eppure eccomi lì dentro, a bere non so quale intruglio della casa, circondato da sconosciuti probabilmente ben più sfortunati di me.
Ero al quarto o al quinto intruglio quando ho sentito un profumo, qualcosa che si discostava totalmente da quelli che erano gli odori di quel posto: un profumo che sovrastava tutto, che si faceva strada verso le mie narici e che sembrava volesse raggiungere solo le mie.
Mandorla e Vaniglia.
Ecco cos’era.
Mandorla e Vaniglia.
Avvolgente, caldo, pungente.
Non l’avevo vista entrare, non l’avevo sentita camminare, ero solo stato avvolto da quel profumo comparso all’improvviso assieme alla sua proprietaria sullo sgabello accanto al mio.
"Sembri un uomo con molti pensieri"
Era anche la prima volta che una donna in un locale attaccava discorso con me: in una serata normale mi sarebbe sembrato strano, ma stavolta propio non ci ho fatto caso, preso com’ero dal cercare di soffocare i pensieri nell’alcool da quattro soldi che mi riempiva il bicchiere.
Mi sono girato.
Era bellissima, misteriosa, oscura.
Un vestito nero assolutamente fuori luogo per il luogo in cui ci trovavamo ma che, inspiegabilmente, sembrava perfetto, capelli neri lunghi, occhi neri come ebano.
Eppure era il profumo che continuava ad inebriarmi, probabilmente senza quel profumo non le avrei quasi risposto.
"Sbagliato".
"Ah sì? Raramente sbaglio quando guardo un uomo"
"Invece sbagli. Assolutamente. Non sono io ad avere pensieri. Sono loro ad avere me, ormai io sono solo in loro balia"
Cercate di capirmi. So che si tratta di una risposta patetica e tragicomica ma vi ricordate la giornata che avevo avuto? E che stavo bevendo porcherie da ore? Un po’ di comprensione…
"Capisco. Ed immagino che tu sia solo, almeno stasera"
Ero confuso ed incuriosito.
"Perché dici così?"
"Perché se non fossi solo non staresti qui a bere schifezze. Saresti con tua moglie o chi per lei a sfogarti."
"E invece sono qui"
"E invece sei qui. Quindi sei solo"
"Se per solo intendi che sono stato cacciato di casa a suon di stoviglie allora sì, sono solo."
A quel punto è scoppiata a ridere.
"Cosa c’è di tanto divertente?"
"Oh niente, niente. "
Mi ha guardato.
Intensamente.
Famelicamente.
"Stavo pensando che forse è il caso di risollevarti la giornata, no?"
"Non mi spiacerebbe affatto, ma come pensi di farlo?"
Si è avvicinata a me.
Mandorla e vaniglia.
Nei polmoni, nel cervello, in tutto il corpo.
Mandorla e vaniglia.
Mi ha messo una mano in mezzo alle gambe.
La bocca vicino all’orecchio.
Ha cominciato a sussurrare
"Hai capito benissimo cosa intendo, non giriamoci intorno. Io ora mi alzo ed esco di qui. Tu puoi rimanere seduto a bere fino a cadere per terra oppure puoi alzarti e seguirmi. Stai certo, però, che se mi seguirai vivrai una notte che non ti scorderai per il resto della tua vita."
E’ impossibile rendere l’idea di ciò che stava succedendo dentro di me mentre parlava: non era semplice eccitazione sessuale, quella l’ho vissuta qualche volta nella vita e, anche ubriaco, so riconoscerla.
No, era di più, era cibo piccante in una bocca abituata al dolce, era acqua fredda nel deserto, era sangue caldo nelle vene ghiacciate, era pulsante, era vivo, era mio…
Si è alzata.
Le sono andato subito dietro, notando un piccolo tatuaggio sulla spalla nuda: niente di tipicamente femminile, anzi; era squadrato, strano, rosso con bordi neri, l’unica nota di colore in quel corpo bianco e nero.
Non ho fatto in tempo ad uscire dal locale che ha cominciato a divorarmi di baci: la sua bocca era ovunque, bevevo la sua lingua, la sua saliva, inalavo il suo respiro.
Siamo finiti in un vicolo, era passione atavica, fame allo stato puro e l’oggetto del suo desiderio ero incredibilmente io.
Vestiti strappati, mani ovunque, la mia bocca su di lei, la sua su di me.
Il mio entrarle dentro lì, in piedi, senza parlare, quasi ringhiando dalla voglia.
Il suo graffiarmi, il suo mordermi, farmi sanguinare, baciarmi e leccarmi ogni graffio ed ogni morso.
Fame.
Sete.
Voglia.
Oblio.

Non so in che momento ci siamo fermati, non so su che macchina siamo saliti, non so in che direzione ci siamo mossi, so soltanto che ad un certo punto eravamo a casa sua o in quella che penso sia casa sua.
Non ho avuto modo di guardarmi molto intorno, probabilmente se dovessi descriverla fallirei miseramente, so solo che ho avuto la strana sensazione di un posto freddo, come non fosse realmente vissuto; ma la sensazione è durata un attimo, perché la fame è tornata.
Fame di sesso, di corpi, di pelle, di calore, di sudore, di sangue.
Mentre ci ripenso tutto diventa sempre più confuso, più simile ad un caleidoscopio che a veri ricordi, non so quanto siamo andati avanti, non so se ci siamo mai fermati, se mi ha mai permesso di tirare il fiato, so solo che non abbiamo mai parlato ed, alla fine, penso di essermi addormentato.

Ed ora sono qui.
Da solo.
E riesco a malapena a muovermi.
Mi sforzo di parlare, ma non ci riesco, mi escono solo degli strani mugolii.
"Non cercare di parlare, ormai non potrai più farlo".
E’ lei è vicina, sento il suo profumo, ma non la vedo, non riesco a vederla.
Inizio a sudare freddo.
"Te l’avevo promesso no? Una notte che ti saresti ricordato per il resto della tua vita. Certo, sarebbe stato più onesto dirti che quel ricordo non sarebbe durato a lungo, ma voglio sperare che perdonerai questo piccolo inganno, vero?"
Un suo dito mi accarezza la guancia, è stata tutto il tempo qui accanto, continuo a rabbrividire ed inizio a maledire il momento in cui sono entrato in quel bar
"Sai, quasi mi dispiace… di solito attiro uomini che in un certo modo se lo meritano: locali come quello sono perfetti per tirare su qualche poco di buono, ma stasera c’eri tu e mi sono lasciata tentare. Magari ti farà piacere sapere che tutto quel che è successo stanotte non è stato solo perché avevo bisogno di te per i miei piccoli, ma anche perché ero veramente attratta da te.
Avrei potuto lasciarti andare, ma ormai è troppo tardi, non posso far loro questo."
Cosa cazzo sta dicendo? I suoi piccoli? Di cosa sta parlando? E perché è così difficile respirare? Perché non riesco a muovermi?

"Non ti agitare, vedo che ti stai sforzando, che cerchi di muoverti, ma è inutile. Sai, nei vari graffi che ti ho fatto c’era una notevole dose di un particolare veleno. Un medico ti direbbe che è una neurotossina, a me piace vederla come il nettare dei miei piccoli. Ce ne vuole tanto, ma ne vale la pena ed è l’unico modo perché la preda non si deteriori troppo in fretta"

La preda? La preda? Ma chi cazzo è questa? Ma che cazzo sta succedendo? Se è uno scherzo non mi sto affatto divertendo!

"Sshhh…. te l’ho detto, non agitarti… ti prometto che non sentirai nulla. Tra poco ti regalerò ai miei piccoli, ma tu non sentirai nulla. Certo, sarai ancora sveglio, almeno per un po’, ma è un piccolo prezzo per il loro bene."

Non può essere vero, non può.
E’ una follia!
Ero solo entrato in un bar per dimenticare tutto!
Non può succedere, non può!
Non ho neanche detto addio a mia moglie, cazzo!
Non deve succedere!
Per favore, no…

Eccola, si è seduta accanto al letto, ora la vedo.
Di nuovo mandorla e vaniglia.
Mi avvolge.
Mandorla e vaniglia.
Sento qualcosa che mi cammina sui piedi.
Mandorla e vaniglia.
I piedi, le gambe, sono quasi insensibili, ma sento qualcosa… come un formicolio.
Mandorla e vaniglia.
I suoi occhi sono più famelici ora.
Mandorla e vaniglia.
Si volta a guardare ciò che mi cammina addosso.
Di nuovo quel tatuaggio, ora lo vedo meglio.
E’ una clessidra.
Una clessidra rossa.
Come una…
Una Vedova Nera…
Mi guarda.
Sorride.
Tutto si fa buio.
Mandorla e Vaniglia….
Musiche Fotografie e testo a cura di Sergio Ferragina


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9 Lascia un commento:

Tiziana ha detto...

Niente male davvero!!!
Complimenti!

Sergio Ferragina ha detto...

Grazie mille, di cuore :)

widepeak ha detto...

aaaaaaaarg
brividi neri!!!
brrr

ziacris ha detto...

Mi piace....bravo..ottima suspence

Sergio Ferragina ha detto...

Grazie ad entrambe, mi fa veramente piacere vi piaccia :)

luana1973 ha detto...

mi fa scorrere veloce le righe una dopo l'altra.è un racconto che mi prende e alla fine lascia il senso del disgusto dell'infimo e bestiale pasto. atavico il sesso o atavica la bestialità? bella la canzone che farei partire appena letta l'ultima parola del racconto piuttosto che sottofondo alla lettura stessa, forse perchè anche la canzone di per se è un racconto. questo racconto lo condivido con gioia e rispetto.

Sergio Ferragina ha detto...

Anzitutto grazie mille del bel commento.
Poi sono d'accordo: mi piace l'idea che la canzone parta a fine racconto, un po' come un titolo di coda.

Grazie ancora :)

Anonimo ha detto...

Santo Iddio - ma come scrivi?
Sono amputata - strizzo gli occhi. Condivido su fb. E' da leggere.
Complimenti.

Sergio Ferragina ha detto...

Non so che dire se non grazie :)

(Monotono, lo so, ma c'è poco da aggiungere :) )

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