sabato, settembre 17

Recensione de DIECI PICCOLI INDIANI di Agatha Christie

Articolo e recensione a cura di Marta Zelioli:

110 milioni di copie vendute, il giallo più venduto in assoluto.
Questo starebbe bene su una fascetta di quelle che adornano i libri ultimamente, se fosse necessaria una fascetta, ma non lo è. Per 'Dieci piccoli indiani' non servono troppe parole, è un romanzo che dalla sua pubblicazione - in Italia nel 1946 - ha fatto parlare di sé.
Ne hanno tratto diversi film, e altrettante pellicole si sono ispirate ad esso: da un episodio della serie di Lamù ad un più adrenalinico 'Nella mente del serial killer' - ho fatto i compiti a casa, sì -.
Per questa ragione, forse, ho sempre rimandato la lettura di questo 'mostro sacro', chiamiamolo 'timore reverenziale'.
Passiamo al romanzo.
Dieci persone vengono invitate con una lettera - ritenuta logicamente credibile dai personaggi - su un'isola: Nigger Island - il luogo esiste realmente -. Sulla proprietà vorticano numerose congetture riguardo la proprietà, gli avvenimenti e tutto il resto. Nessuno ha ben chiara la situazione - e qui viene da dire: "col cavolo che accetterei" - ma i fatti esposti nell'invito risultano particolarmente convincenti. I protagonisti vengono portati fino a questa villa; un'abitazione per nulla inquietante, anzi: moderna, piacevole. Un luogo splendido.
Vengono accolti dal personale formato da una coppia - maggiordomo e cuoca - che avvisa gli ospiti che i padroni di casa al momento non sono presenti.
Uno dei protagonisti, anzi una delle protagoniste femminili, nota subito, appesa sopra il caminetto, una filastrocca, che poi ritroverà nella sua camera e nella camera di tutti i presenti in villa e che li 'seguirà' poi per tutta la narrazione:

"Dieci poveri negretti Se ne andarono a mangiar:uno fece indigestione,solo nove ne restar.
Nove poveri negretti fino a notte alta vegliar:uno cadde addormentato,otto soli ne restar.
Otto poveri negretti Se ne vanno a passeggiar:uno, ahimè, è rimasto indietro,solo sette ne restar.
Sette poveri negretti legna andarono a spaccar:un di lor s'infranse a mezzo,e sei soli ne restar.
I sei poveri negrettigiocan con un alvear:da una vespa uno fu punto,solo cinque ne restar.
Cinque poveri negrettiun giudizio han da sbrigar:un lo ferma il tribunalequattro soli ne restar.
Quattro poveri negrettisalpan verso l'alto mar:uno se lo prende un granchio,e tre soli ne restar.
I tre poveri negrettiallo zoo vollero andar:uno l'orso ne abbrancò,e due soli ne restar.
I due poveri negrettistanno al sole per un po':un si fuse come cerae uno solo ne restò.
Solo, il povero negrettoin un bosco se ne andò:ad un pino s'impiccò,e nessuno ne restò."

Riuniti in salotto, dopo aver cenato, all'improvviso odono una voce che elenca come una sentenza i presunti reati commessi dagli astanti, reati di una certa importanza, che hanno portato alla morte di altre persone.
Da quel momento i presenti nella villa iniziano a morire, uno alla volta; a temere quindi una presenza nella casa, poi a sospettare l'uno dell'altro. Ogni piccola cosa diviene comprensibilmente - io sarei morta di infarto - un dramma: mangiare, dormire, stare soli e in compagnia, infine anche vivere all'interno della casa, risulta insostenibile.

"Siamo rimasti in sette. Di questi sette, uno è, se posso esprimermi così, un 'falso povero negretto'". [...] Emily Brent sempre sferuzzando, disse:"Questa ipotesi mi sembra logica. Sono convinta che uno di noi è posseduto dal demonio". (Pag. 89 / 90)

Mentre gli eventi si susseguono, tra una morte e l'altra, chi rimane indaga per sopravvivere.
Logicamente non possono allontanarsi dall'isola a causa del mal tempo, che rende impossibile l'unico collegamento - un battello - con la terra ferma. Lo definiremo un piccolo aiuto divino, o più probabilmente l'assassino aveva certamente calcolato anche quello.

"La pioggia aveva ricominciato a scrosciare. Il vento soffiava raffiche improvvise. Il rumore deprimente della pioggia li faceva quasi impazzire. Per tacito consenso, avevano adottato un piano di battaglia. Sedevano tutti nel salotto e solo una persona per volta lasciava la stanza". (Pag. 126)

Ad ogni morto corrisponde una statuetta di porcellana raffigurante un indiano, quindi, ogni volta che un cadavere viene recuperato, una statuetta sparisce misteriosamente. L'assassino - che si eleva dunque a grande Inquisitore - ha calcolato chiaramente ogni dettaglio e agisce con un ordine prestabilito.

"Sono quelle statuine, signora. In mezzo alla tavola. Le statuine di porcellana. Erano dieci. Posso giurare che erano dieci." (pag. 64)

Il romanzo è creato in modo perfetto: 176 pagine, nulla da togliere o da aggiungere, vero è che ad un certo punto della storia, comprendi per forza di cose come si siano svolti probabilmente i fatti, ma è davvero strabiliante proseguire e leggere alla fine, nel dettaglio, cosa sia accaduto effettivamente.
Non me ne intendo di gialli classici, ma non credo di poter essere smentita se affermo che senza dubbio questo è il Giallo dei Gialli, gli esperti in materia potranno confermare, da un'autrice più tradotta di Shakespeare, non potevo aspettarmi nulla di meno.

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