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domenica, marzo 10

RAPINA A MANO ARMATA a cura di Stefano Di Marino

 Nel 1956 Stanley Kubrick scrive con l’aiuto del noto noirista Jim Thompson ( per i dialoghi) un film che dirigerà traendolo dal romanzo Clean break. Rapina a  mano armata (The Killing) è un altro capolavoro del genere caper. Filmato in un fascinoso bianco e nero, pone al centro della storia ancora una volta Streling Hayden, qui meno energumeno rispetto a Giungla d’asfalto, ma perfettamente aderente al ruolo del ladro professionista. Ed è proprio nella demarcazione tra professionisti e dilettanti alla ricerca di un’occasione per rifarsi una vita che la storia gioca le sue carte migliori. Si comincia in mezzo all’azione, poi una voce fuori campo, quasi giornalistica, ci riporta indietro con l’orologio per presentarci tutti i partecipanti al colpo e i comprimari. Quindi si procede nuovamente in avanti e infine ancora indietro. La scansione del tempo e la voce fuori campo destabilizzano le regole della narrazione ma non la sua fruibilità. Subito intuiamo i punti deboli e quelli forti di ognuno dei personaggi.
Alla fine il colpo alle casse dell’ippodromo, per quanto ben pianificato, pare destinato al fallimento come le speranze della fidanzata di  Johnny Clay (Sterling Hyden appunto) di poter cominciare una nuova vita con una valigia piena di soldi. La figura dell’anziano complice che presta il denaro e mette a disposizione l’appartamento come base della banda, il lottatore russo giocatore di scacchi che crea un diversivo, il cecchino incaricato di uccidere un cavallo a distanza nel momento culminante delineano un’America povera, sottoproletaria, che campa di espedienti e lavori al limite della legalità. Gente che s’illude. Ma il personaggio migliore è interpretato da Elisha Cook jr. che veste i panni del cassiere George. Un uomo piccolo dalle grandi ambizioni, l’impiegato che ha sposato una donna un tempo fascinosa ora impietosamente avviata al viale del tramonto. Per lei accetta di entrare nella banda, per lei incassa pugni e insulti, non può veramente niente per tenerla a sé. La sua storia e quella di lei che rivela il colpo allo sfrontato giovanotto che di certo non ci va a letto per amore, diventano una sottotrama quasi più importante della realizzazione del colpo. Nel ‘caper’ si fondono gli elementi del noir più personale , quello delle dark ladies e del baratro in cui trascinano se stesse e gli uomini che le desiderano. Tutto è più triste se si considera che la moglie di George è lei stessa una perdente, una vittima. E così il colpo perfetto, eseguito con un rispetto dei tempi e della programmazione millimetrico finisce in tragedia. Solo un ritardo sulla strada evita a Johnny una brutta fine ma all’aeroporto lo aspetta l’ultima beffa. Un cagnolino idiota corre sulla pista e provoca la caduta della valigia piena di quei soldi rubati e poi ammassati alla rinfusa. Volano nella notte come carta straccia, trascinati via da un vento innaturale che dissolve i sogni di Johnny e della fidanzata. E quando, all’uscita dell’aeroporto, i due potrebbero forse svignarsela lui capisce che ormai contro il fato è inutile combattere. Il film si arresta sullo stop-frame dei due sbirri che si avvicinano. Neanche hanno bisogno di impugnare i revolver, tutto è già scritto, segnato. Per Johnny, uscito da cinque anni di galera (un inferno che alla sua ragazza ha pesato quanto e più di lui) non ci sono più carte da giocare. L’illusione del sogno americano (benché criminale) si infrange così. Per quanta cura, per quanta abilità uno ci possa mettere, anche a dispetto dell’incompetenza e della fragilità dei complici, il Destino non sbaglia un colpo ed è lì, ad attenderti per l’ultima beffa.

Articolo a cura di Stefano Di Marino/Stephen Gunn


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