Quando uscì, nel 1950, il film diretto da John Huston tratto dal romanzo di W.R. Burnett fu considerato dalla critica un film di serie B. Riprova che chi non sa fare giudica… Giungla d’asfalto è un grande noir e al tempo stesso uno dei film più significativi del filone caper. C’è, nell’intera vicenda, tutto l’animo oscuro dell’America degli anni 50, persino nel paterozzo finale che il capo della polizia impartisce ai cronisti che gli rimproverano la corruzione dello sbirro Dietrich. In effetti che nella polizia ci siano anche degli onesti sembra un concetto imposto in una storia dove il confine tra moralità e indegnità etica è spostato nel più ambiguo territorio che divide chi i soldi ce li ha e chi invece vorrebbe averli. Nel romanzo la divisione tra l’avvocato faccendiere Emmerich e la banda di rapinatori ‘proletari’ è ancora più marcato. Huston racconta freddamente la sua storia, con un succedersi di scene secche che solo occasionalmente indugiano sulle sfumature umane. La fine dei principali artefici del colpo, il vecchio pianificatore Riedenschenider e l’energumeno Dix, sono esemplari. Ultimi rimasti della banda, finiscono tragicamente a un passo dalla salvezza.
L’anziano gangster potrebbe anche farcela a sgusciare tra le maglie della polizia se non indulgesse nel puro piacere di vedere una giovinetta ballare, in un diner in cui la polizia lo identifica. Dix, ferito mortalmente, pur accudito da Olga che vorrebbe solo stargli a fianco, muore correndo verso quella fattoria della sua infanzia che ha cercato di ritrovare per tutto il film. Gli altri cadono per sfortuna o tradimento. Emmerich, il basista che trama di fregare i complici perché, in realtà, è un imbroglione e non ha un soldo per pagare la refurtiva, le prova tutte per rimettere a posto le cose. È la natura dei ricchi, pensare che tutto si può acquistare o aggiustare con i soldi. Ma anche a lui va male, pur essendo riuscito a rivendere i gioielli rubati alle assicurazioni, viene segnalato da meno abili complici, coinvolto nell’occultamento del cadavere del detective ucciso da Dix nel momento del raggiro ma, alla fine, inchiodato proprio dalla ninfetta che lo chiama ‘zietto’. Marilyn Monroe (qui all’esordio) è perfetta incarnazione di avidità, cinismo e candore quando, finalmente convinta a confessare, si chiede se il suo viaggio a Cuba è ormai sfumato. Per l’avido avvocato non resta che il suicidio. Soluzione da vigliacchi, come è sottinteso se non detto dalla sceneggiatura. Film notturno, quasi privo di scene di violenza ad eccezione di una sparatoria così rapida che si fatica a comprenderne la dinamica, quasi come nella realtà. Giungla d’asfalto è un film di rapina. Un colpo perfetto pianificato da un anziano ex galeotto che raduna intorno a sé una banda di eterogenei complici trai quali un immancabile gobbo, uno scassinatore papà, un biscazziere e il basista, appunto. È lo specchio dell’umanità disperata degli anni 50. Gente che si muove in quartieri brutti, pericolosi, senza il minimo d’attrattiva. Non ci sono le luci dei locali notturni a rischiarare la vita dei malavitosi. L’unico nominato lo hanno appena chiudo. Da lì viene Olga, ballerina dal cuore d’oro, che prima cerca aiuto da Dix poi finisce per ritrarsi, quasi timorosa sfruttare quell’omaccione rude che ha scoperto di amare. Il contrasto tra lei e Angela (Marilyn) è stridente come il lusso degli appartamenti di Emmerich e lo squallore del locale gestito da Giulio il Gobbo, o gli interni della sala giochi clandestina e persino la camera di Dix. La realizzazione del colpo prevede nitroglicerina, abilità di scasso, un segnale d’allarme da bloccare e persino un ‘occhio segreto’ come viene chiamato. Nulla di particolarmente difficile, un colpo studiato da Riedenschneider prima di finire in galera l’ultima volta che necessità solo di qualche ritocco. Eppure tutto va storto perché i partecipanti al colpo dal primo all’ultimo sono dei perdenti. Sognano una vita migliore, lontana dalla città oscura, fatta di ombre e insegne notturne. Quel paesaggio solare e arioso che a Dix è dato di intravedere ormai in punto di morte solo nell’ultima scena. La giungla d’asfalto, malgrado i trionfalistici proclami del capo della polizia, ha vinto un’altra volta. Le bestie che l’abitano si sono divorate a vicenda e il destino non guarda in faccia a nessuno.
L’anziano gangster potrebbe anche farcela a sgusciare tra le maglie della polizia se non indulgesse nel puro piacere di vedere una giovinetta ballare, in un diner in cui la polizia lo identifica. Dix, ferito mortalmente, pur accudito da Olga che vorrebbe solo stargli a fianco, muore correndo verso quella fattoria della sua infanzia che ha cercato di ritrovare per tutto il film. Gli altri cadono per sfortuna o tradimento. Emmerich, il basista che trama di fregare i complici perché, in realtà, è un imbroglione e non ha un soldo per pagare la refurtiva, le prova tutte per rimettere a posto le cose. È la natura dei ricchi, pensare che tutto si può acquistare o aggiustare con i soldi. Ma anche a lui va male, pur essendo riuscito a rivendere i gioielli rubati alle assicurazioni, viene segnalato da meno abili complici, coinvolto nell’occultamento del cadavere del detective ucciso da Dix nel momento del raggiro ma, alla fine, inchiodato proprio dalla ninfetta che lo chiama ‘zietto’. Marilyn Monroe (qui all’esordio) è perfetta incarnazione di avidità, cinismo e candore quando, finalmente convinta a confessare, si chiede se il suo viaggio a Cuba è ormai sfumato. Per l’avido avvocato non resta che il suicidio. Soluzione da vigliacchi, come è sottinteso se non detto dalla sceneggiatura. Film notturno, quasi privo di scene di violenza ad eccezione di una sparatoria così rapida che si fatica a comprenderne la dinamica, quasi come nella realtà. Giungla d’asfalto è un film di rapina. Un colpo perfetto pianificato da un anziano ex galeotto che raduna intorno a sé una banda di eterogenei complici trai quali un immancabile gobbo, uno scassinatore papà, un biscazziere e il basista, appunto. È lo specchio dell’umanità disperata degli anni 50. Gente che si muove in quartieri brutti, pericolosi, senza il minimo d’attrattiva. Non ci sono le luci dei locali notturni a rischiarare la vita dei malavitosi. L’unico nominato lo hanno appena chiudo. Da lì viene Olga, ballerina dal cuore d’oro, che prima cerca aiuto da Dix poi finisce per ritrarsi, quasi timorosa sfruttare quell’omaccione rude che ha scoperto di amare. Il contrasto tra lei e Angela (Marilyn) è stridente come il lusso degli appartamenti di Emmerich e lo squallore del locale gestito da Giulio il Gobbo, o gli interni della sala giochi clandestina e persino la camera di Dix. La realizzazione del colpo prevede nitroglicerina, abilità di scasso, un segnale d’allarme da bloccare e persino un ‘occhio segreto’ come viene chiamato. Nulla di particolarmente difficile, un colpo studiato da Riedenschneider prima di finire in galera l’ultima volta che necessità solo di qualche ritocco. Eppure tutto va storto perché i partecipanti al colpo dal primo all’ultimo sono dei perdenti. Sognano una vita migliore, lontana dalla città oscura, fatta di ombre e insegne notturne. Quel paesaggio solare e arioso che a Dix è dato di intravedere ormai in punto di morte solo nell’ultima scena. La giungla d’asfalto, malgrado i trionfalistici proclami del capo della polizia, ha vinto un’altra volta. Le bestie che l’abitano si sono divorate a vicenda e il destino non guarda in faccia a nessuno.
Nessun commento:
Posta un commento