In un tempo e un luogo non precisati, all'improvviso l'intera popolazione diventa cieca per un'inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un'esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici. I primi colpiti dal male vengono infatti rinchiusi in un ex manicomio per la paura del contagio e l'insensibilità altrui, e qui si manifesta tutto l'orrore di cui l'uomo sa essere capace.
Nel suo racconto fantastico, Saramago disegna la grande metafora di un'umanità bestiale e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità, artefice di abbrutimento, violenza, degradazione. Ne deriva un romanzo di valenza universale sull'indifferenza e l'egoismo, sul potere e la sopraffazione, sulla guerra di tutti contro tutti, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e salvezza.
Lo so, non è un thriller ne un giallo ne un noir, ma è un libro che devono conoscere tutti, anche se in molti già lo conoscono.
Recensione di Marta Zelioli:
Cecità mi ha fatto scoprire un nuovo genere di lettura: quando desideri ardentemente leggere un libro perché tutto di lui ti affascina, dalla trama alla scrittura, i suoi personaggi che ti coinvolgono, ogni avvenimento che ti sazia quel tanto per poter proseguire, ma i fatti narrati sono talmente angoscianti che ti senti in obbligo, quasi in dovere, di smettere ogni tanto per riprendere a respirare, guadarti intorno e vedere che ancora vedi, che il mondo non è andato – ancora – in frantumi, che non si è rinchiusi in un manicomio e ti illudi di non essere cieco, tutto sommato. Ti illudi ancora.
“La coscienza morale, che tanti dissennati hanno offeso e molti di più rinnegato, esiste ed è esistita sempre, non è una invenzione dei filosofi del Quaternario, quando l’anima non era ancora che un progetto confuso”. (Pag. 25)
Un contagio. Non è la peste o la febbre gialla, è la cecità, si diffonde rapida e come da copione il panico è dei peggiori. Le prime vittime vengono isolate in un manicomio, i soldati rimangono di guardia alla recinzione e si capisce immediatamente che non hanno la più pallida idea di come gestire la situazione, che ovviamente degenera in tempi brevissimi. Non si può immaginare cosa deve essere divenire tutti ciechi, non poter essere curati perché contagiosi, abbandonati a se stessi, nutriti a stento, terrorizzati dalla malattia, senza informazioni esterne e separati dai propri cari. Non si può immaginare finché non arriva Saramago e non ce lo racconta in queste 276 pagine.
“Orbene, dicono i libri, ma molto di più lo dice l’esperienza vissuta, che chi si alza presto per piacere o chi ha dovuto alzarsi presto per necessità, mal tollera che altri, in sua presenza, continuino a dormire della grossa, e a maggior ragione nel caso di cui si sta parlando, perché c’è una bella differenza fra un cieco che sta dormendo e un cieco cui non è servito a niente avere aperto gli occhi”. (Pag. 87)
Il romanzo si svolge dunque quasi totalmente in questo manicomio, luogo in cui vengono isolati i primi ciechi. Il primo contagio porta il malato nello studio di un oculista, e quindi i primi saranno loro, i presenti nello studio, il farmacista a cui verranno richiesti dei farmaci, il tassista che si trova a dover trasportare uno dei primi ciechi. E’ tutta una catena: da una decina diventano presto un centinaio di persone.
La convivenza è dura di norma, senza necessità di ciechi sporchi, feriti, che vivono insieme in modo coatto e necessitano di aiuto per ogni minima cosa, aiuto che non può essergli fornito, perché il panico ha mostrato l’umanità per ciò che è realmente. Una citazione di cui non rammento la paternità suona più o meno così: “Presto o tardi, l’egoismo umano si tradisce”; non vi è teatro più adatto che un dramma come questo.
“Avanti, caro cieco, vieni avanti, disse da lontano un soldato in tono falsamente amichevole, il cieco si alzò, fece tre passi, ma si bloccò di nuovo, il verbo gli parve sospetto, vieni avanti non è vai avanti, vieni avanti vuol dire verso qui, proprio verso qui, in questa direzione, arriverai dove ti stanno chiamando, incontro alla pallottola che ti sostituirà una cecità con un’altra”. (Pag. 94)
Non bastano naturalmente le difficoltà derivate dal male in se, il ‘male bianco’, così viene definito per la patina candida, il velo che cala sugli occhi al momento del contagio; si aggiungono presto le prepotenze, gli atti di violenza, i soprusi tra gli stessi ciechi.
A mostrarci tutto questo, in parte è la narrazione, in parte è la moglie del medico, l’oculista contagiato, che a differenza degli altri, rimane sana. Non subisce il contagio, non vi è spiegazione al riguardo, sotto molti aspetti sembra essere la prescelta per una punizione più grande. Non è vittima della cecità ma testimone diretto di ogni avvenimento.
“la moglie del medico fu colpita dal silenzio, un silenzio che sembrava occupare lo spazio di un’assenza, come se l’umanità, tutta, fosse scomparsa, lasciando solo una luce accesa e un soldato a sorvegliarla, la luce e un residuo di uomini e donne che non potevano vedere”. (Pag. 136)
Narrato in modo magistrale, un capolavoro assoluto, un libro che intrattiene, insegna… ferisce.
Voto 5/5
Titolo Cecità
Autore Saramago José
Prezzo di copertina € 9,50
Dati 2010, 276 p., brossura
Traduttore Desti R.
Editore Feltrinelli (collana Universale economica)
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Grandissimo romanzo, anch'io l'ho letto e recensito di recente.
RispondiEliminaUna lettura necessaria.