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giovedì, ottobre 27

OCCHI SENZA VOLTO film del 1960 diretto da Georges Franju e interpretato da Pierre Brasseur, Alida Valli, Juliette Mayniel.


Scriveva Arthur Schnitzler: “Nessuno spettro ci assale in travestimenti più svariati di quelli con cui si camuffa la solitudine, e una delle sue maschere più impenetrabili è l'amore”.

Dal romanzo di Jean Redon emersero su pellicola, nel 1960, le molteplici sfumature del tormento. Ma anche i ricordi di un’immagine in frantumi. La condanna all’isolamento. L’incubo irreversibile dell’errore, avvolto nel buio (senza spiragli) del rimorso. Occhi senza volto (Les yeux sans visage), diretto da Georges Franju, è un viaggio surreale. A tratti horror, in grado di anticipare addirittura il genere splatter. Ma, al contempo, lirico. Di un’intensità stemperata nel sublime bianco e nero, in grado di raggiungere vette stilistiche difficili da imitare. La semplicità della trama passa in secondo piano, si disintegra in una superba narrazione al punto tale da ammaliare. Donando l’incanto delle sequenze visive. I personaggi, lungi dall’essere le macchiette monodimensionali che caratterizzano il “sottogenere” sadico-chirurgico, godono dell’eccellente interpretazione di Pierre Brasseur e Alida Valli. Una giovane Edith Scob dona l’anima alla protagonista.
Tutte le ragazze scomparse sono bionde con gli occhi blu. Vittime dei misfatti del dottor Génessier (Pierre Brasseur), che spera di restituire la bellezza al volto deturpato della figlia Christiane (Edith Scob). L’uomo, divorato dal senso di colpa, cerca disperatamente di annullare il ricordo di un terribile incidente da lui causato. Con il prezioso aiuto dell’assistente Louise (Alida Valli), irretisce e narcotizza giovani prede, servendosi dei loro volti e delle sue recenti scoperte sul trapianto dei tessuti. Un poliziotto fa delle considerazioni sul corpo di una ragazza rinvenuto nella Senna: dalle ferite sul viso, pensa di aver ritrovato il cadavere di Christiane. L’astuto Génessier finge di riconoscere la figlia scomparsa e, tornato a casa, sale negli appartamenti di una grande residenza chiusa in un parco alla periferia di Parigi. Lì, in una camera, giace la sua Christiane. La morta è una delle malcapitate, la prima: Simone.
Nonostante tutto, gli interventi non generano il successo auspicato: il viso di Christiane, a poco a poco, va in necrosi. La ragazza è costretta a rimettersi la maschera che la copre.
Disperata, chiede a Louise di lasciarla morire, magari fornendole i veleni che il padre usa negli esperimenti con i cani che tiene nelle gabbie giù in laboratorio. Poi, un giorno, telefona al fidanzato che la ritiene morta. Prende un bisturi e libera l’ennesima vittima tagliandole i lacci che la legano. Louise cerca di fermarla, ma viene colpita al collo e uccisa. Dopo aver liberato tutti i cani rinchiusi nelle gabbie, la protagonista dona il volo ad alcune colombe e si allontana nella notte. Mentre gli animali straziano il loro torturatore Génessier, massacrandolo. 
Capolavoro. Imperdibile.

Articolo a cura di Irene Petrella

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